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Prodotti : per i più esigenti : Riva 1920 Le Briccole “I Guardiani di Venezia”

Venezia - Pali della Laguna
In un momento storico come quello che stiamo vivendo, riteniamo importante trasmettere dei segnali relativi alla possibilità e necessità di coltivare il concetto di materiale di riuso, costruendo oggetti da tramandare alle generazioni future.

In una fase di continua ricerca abbiamo trovato un materiale che riteniamo unico: la “BRICCOLA” di Venezia. Si tratta di pali di quercia sostituiti nella laguna di Venezia a causa dell’usura o rottura.

RIVA1920 desidera creare dei prodotti impiegando questo materiale naturale avvalendosi della collaborazione di designer e architetti di fama internazionale, realizzando importanti mostre itineranti.

• MATERIALE: Quercia
• DIMENSIONI: Da 20 cm a 40 cm
• LUNGHEZZA: Variabile dai 200 cm ai 400 cm circa

Le Briccole “I Guardiani di Venezia”
Venezia, città unica al mondo per il suo fascino, la sua storia, i monumenti, i musei, le chiese e per le sue vie che i veneziani chiamano “rii”. Venezia città antica, forte e viva.
In un mondo dove tutto si evolve e cambia in tempi brevissimi, Venezia resta Venezia.
In questo progetto sviluppato da Riva 1920 vengono coinvolte delle protagoniste fondamentali di questa città: le Briccole.
Le Briccole, i “Guardiani di Venezia”, sono da sempre presenti nella laguna.
Guardiani nel segnalare le vie nell’acqua.
Guardiani di un continuo sviluppo economico.
Proprio quest’ultimo, purtroppo, contribuisce ad un aumento dell’inquinamento, che comunque non potrà mai intaccare il fascino e la poesia che solo Venezia e i suoi “Guardiani” sanno donare.
Periodicamente questi pali vengono sostituiti con altri nuovi.
La nostra attenzione all’ecologia e all’ambiente ci ha ispirato a dar nuova “vita” a questo legno.
Ancora una volta la natura è la protagonista, capace di donare fascino ed emozioni uniche.
Fascino presentato sotto forma di pali di legno scolpiti da “piccoli artisti”, i molluschi, che hanno lasciato il segno del loro passaggio.
Attraverso questo lavoro fatto di buchi dalle forme tonde assolutamente perfette, che a volte sorprendono anche noi che lavoriamo questo legno, la briccola ritrova il suo splendore.
La presentazione di questo grande progetto, si avvale dell’importante e assoluto impegno di 29 designer, stilisti e scultori contemporanei, che con il loro lavoro hanno voluto dare un tributo alla città di Venezia. L’impegno da parte di tutte le persone coinvolte in questo progetto, si è espresso, o almeno lo speriamo, nel miglior modo possibile. Stimolanti sono state le sinergie che si sono create tra i designer e l’azienda Riva.
Si è instaurato un clima sereno e amichevole ma di intenso lavoro di ricerca soprattutto nelle fasi più delicate della produzione dei prototipi, dovuti anche al fatto che “l’artista veneziano”, la teredine marina, con i suoi giochi di buchi, non sempre ha permesso di eseguire pienamente il pensiero del designer.
Nel rispetto di un materiale che ha dato molto sia alla laguna di Venezia sia a questo nostro progetto, siamo riusciti con grande soddisfazione a creare ventidue oggetti unici, vere e proprie opere d’arte.
Riva 1920 compie i primi novant’anni di vita imprenditoriale, avuta inizio nel lontano 1920 da nonno Nino, in anni di grandi cambiamenti e soddisfazioni.
Dopo nostro padre Mario, siamo noi fratelli - Maurizio, Anna e Davide - a continuare questa avventura, confortati nel vedere in Azienda la nostra quarta generazione di figli e nipoti.
Nel realizzare giorno dopo giorno questi fantastici progetti e nello scrivere queste righe ho sempre e comunque pensato che tutto questo debba restare in memoria per Venezia e per coloro che dopo di noi ne saranno attratti…rispettando il dolce sapore della vita.

Cenni storici sulle “briccole di Venezia”
“La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acqueè protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare nocumento in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria.
Il diritto di questo editto sia immutabile e perpetuo”. La laguna di Venezia ha quasi 6000 anni. Al suo posto
c’era una pianura costituita da sedimenti trasportati dai fiumi, come la Brenta e il Piave, in seguito al fondersi
dei ghiacci dopo la fine dell’ultima glaciazione. Nei secoli che seguirono ci furono, e continuano ad esserci, fenomeni come l’abbassamento del suolo per il progressivo consolidamento dei depositi alluvionali fini e l’innalzamento del livello del mare. Il risultato di tutto ciò è stato l’allagamento di gran parte della pianura esistente con l’esclusione di alcune zone di terreno più elevato che sono diventate le isole della laguna di Venezia appena nata. Poi, i cordoni di dune costiere, formatisi grazie alle sabbie trasportate dai corsi d’acqua, sono divenuti il naturale confine tra l’Adriatico e la laguna. La laguna è separata dal mare aperto dai lidi. L’acqua entra dal mare ogni sei ore e riesce dopo altre sei. La città di Venezia si raccoglie e si proietta sui lidi, sulla gronda lagunare ed oltre, lungo i ghebbi e i canali, attraverso isole, barene, velme, valli e paludi, con un moto incessante che è quello delle maree. E attraverso l’acqua è il suo essere laguna e luogo urbano totale. I Fondatori, mediante i pali e l’azione del palificare, si sono però allargati quanto comportava il sito del luogo, supplendo al difetto della natura con l’arte. Briccola: segnali speciali, costituiti da pali o gruppi di pali, piantati nella laguna veneta, lungo i bordi dei bassi fondali e sporgenti dall’acqua in modo da indicare alle navi le rotte e i canali navigabili e servire eventualmente da ormeggio. Nella laguna di Venezia si trovano dei pali conficcati nel fondo a volte singoli (palina) a volte uniti a gruppi di tre o più (bricola). Servono per segnalare il limite tra un canale navigabile e la secca. Già dal 1439 esisteva una normativa relativa alle briccole e da allora nulla è cambiato eccetto che per l’applicazione di un catarifrangente, e talvolta di una luce, che aiuta la navigazione notturna. Il legno più adatto per le briccole è la rovere, quasi indistruttibile, anche se la marea e il moto ondoso prima o dopo hanno il sopravvento. Per segnalare l’inizio di un canale si ha una briccola con il palo centrale più alto degli altri. Altri tipi di paline sono quelle che si trovano all’interno dei canali cittadini con funzione di ormeggio. Talvolta sono variopinte con i simboli (“de casada”) della nobiltà veneziana. Pali e le palificazioni - e i palificatori - disegnano sull’acqua questa esperienza e con essi l’unità urbana della Laguna. Questi manufatti visibili ed emergenti dal fondo lagunare possono essere distinti schematicamente secondo due categorie e modalità d’uso: la prima, di tipo “dinamico” è quella connessa con la circolazione sull’acqua, di comunicazione e di trasporto. Si tratta delle palificazioni di “marginamento” e di segnalamento dei canali maggiori, percorribili con imbarcazioni. Sono segnali visivi continui, posti a distanza costante, la cui qualità dinamica è quella di accompagnare il moto delle imbarcazioni lungo gli itinerari. La seconda modalità d’uso, di tipo “statico”, è quella connessa al contenimento delle terre lungo i canali e l’edificazione delle fondazioni di edifici. Da queste ragioni dipende la grande diversità di tipi di “briccole”: il loro essere strutture fisse o mobili, a carattere precario o mobile, grezze o raffinate nella loro esecuzione tecnica che comporta sempre, per la natura del sito e del materiale, un alto grado di manualità e di esperienza artigianali. Attualmente, per l’approvvigionamento del legname per le “briccole” di Venezia, l’autorità del Demanio marittimo dello Stato si rivolge al mercato estero, particolarmente Francia, Paesi Balcani ed Europa del Nord. Un palo infisso in laguna dura in media circa 5 -10 anni, dopo di che deve essere sostituito perché corroso nel tratto che sta in corrispondenza dell’escursione di marea nel quale trovano il loro habitat naturale microrganismi ed una flora e fauna marina. Se la Laguna di Venezia è sopravvissuta per oltre undici secoli della sua storia è certamente perché in essa si è stabilito un tipo di equilibrio tra cultura delle popolazioni insediate e le caratteristiche di un ambiente sempre in trasformazione. Poiché non sarebbero stati sufficienti ne l’abilità degli idraulici ne la saggezza del Governo della Serenissima, da soli, a mantenerla in vita, senza un processo continuo di identificazione delle comunità con il proprio territorio. Il problema dell’equilibrio naturale o del rapporto dell’artificiale con il naturale si pone per questa via in termini sia quantitativi che qualitativi, per la realizzazione di un “ambiente totale di vita”.
I pali lagunari si collocano in questo spazio fisico-culturale di conservazione e mutamento del territorio ed hanno tutti questi caratteri di oggetto architettonico. È il modo in cui l’albero si fa elemento costruttivo e
costitutivo dell’urbano costruito, la foresta si fa città rendendo domestici l’acqua e la terra, trasformando il
“sito” in “luogo”. Oggetti dell’architettura, prodotti con tecniche all’apparenza banali, con l’impiego di attrezzi e strumenti di lavoro piuttosto semplici: asce, seghe, trivelle, battipali, pulegge, funi ecc. ed in cui l’apporto della tecnica moderna si limita alla sostituzione della forza fisica dell’uomo con la forza motrice prodotta artificialmente. Oggetti apparentemente appartenenti all’ambito dell’artigianato e raramente costruiti con intenzionalità estetica, ma che acquisiscono valore estetico dalla qualità naturale intrinseca dei materiali, dal contesto in cui sono collocati, dai modi della loro rappresentazione nella iconografia lagunare che ne fissa l’immagine e ne documenta l’esistenza delle forme e delle funzioni.

Riva 1920: ricorda Venezia e poi progetti
Inventare percorsi nuovi per progettare in modo intelligente le cose del mondo non è facile perché il rischio, molto frequente, è di ripetersi, o pensarsi originali e creativi, quando poi invece tutto è già stato disegnato e prodotto. Questo è il grande problema del design, sempre più esteso a macchia d’olio, presente dovunque, come se avessimo davanti a noi una carta geografica, infinita, dove tutto è già stato “fatto”. Forse, per essere originali, è sufficiente guardarsi intorno, fare e rifare sempre la stessa strada per evitare di perdersi; guardando noi stessi, troviamo alcune volte le ragioni del nuovo, può essere una forma, o un oggetto noto e risaputo, ma anche un materiale, nel nostro caso il legno, del quale pensavamo di conoscere tutto.
Ma non è possibile conoscere una volta per sempre “tutto”, perché il mondo delle cose è più complesso del
mondo delle idee; anzi la complessità delle cose si può affrontare soltanto guardando il mondo da punti di vista nuovi, inconsueti e soprattutto non prevedibili. Il grande antropologo francese Lévi Strauss parlava di
due itinerari conoscitivi: quello dell’ingegnere, ovvero colui il quale pensa e progetta rispettando la sequenza
dei numeri 1, 2, 3…, dalla quale è prevedibile e anticipabile qualsiasi sequenza numerica; oppure il percorso
conoscitivo del bricoleur che non segue una sequenza preordinata, ma guarda, passeggia, si sofferma, torna
indietro, accelera. La sua non è una sequenza lineare, e quindi totalmente prevedibile; è casuale, un po’ random, perché risiede proprio nello sguardo improvviso verso una cosa nota, la ragione dell’interesse conoscitivo, della novità che, magari, avevamo sotto gli occhi, da sempre. Questa è la filosofia progettuale e produttiva di Davide e Maurizio Riva, che dopo 90 anni di storia, 1920-2010, guidano un’azienda come Riva 1920, che ha fatto del legno massello la propria identità, affidando al pensiero e all’interpretazione dei progettisti il significato, e in un certo senso, la ragione della tradizione e soprattutto del futuro. Dopo l’avventura con il Kauri, il legno più antico del mondo, oltre 30.000 anni, i Riva hanno riscoperto Venezia, sempre nel rispetto di uno sguardo che cerca altrove il nuovo. Una Venezia non retorica né affidata ad una generica spettacolarizzazione; la città che interessa a Davide e Maurizio è un’altra dove la presenza del legno, un legno particolare, il rovere bianco e rosso, con la quale fino a qualche tempo fa, si realizzavano le “briccole”, ovvero il sistema per la navigazione nei canali. Riutilizzare le briccole, in modo tale che possano
diventare un oggetto senza alcuna necessità di imitazione né di citazione lagunare, non è un’operazione semplice, in quanto la memoria, il capitale simbolico sono talmente forti che potrebbero condizionare qualsiasi tipo di riprogettazione.
Tradizionalmente, si chiamano briccole (ce ne sono migliaia a Venezia): un sistema realizzato con tre pali in legno, piantati sul fondale della laguna, in modo leggermente obliquo, con le sommità che si toccano. Ciascuna briccola è catalogata con l’assegnazione di un numero, l’indicazione delle coordinate e una serie di altre caratteristiche segnaletiche. Sono tanti punti di color rosso che da secoli segnano la mappa urbana veneziana. La decisione di sostituirle con briccole in plastica, più resistenti all’acqua marina, ha fatto scattare nella testa di Davide e Maurizio Riva, l’idea di sottoporre questo materiale particolare ad una serie di progettisti, italiani e stranieri. Il risultato di questa iniziativa è una Collezione di straordinaria vivacità e un libro, che documenta tutto il percorso culturale e produttivo, dal materiale originario agli oggetti disegnati. Lavorare all’interno di un contesto, di matrice veneziana, non è facile perché le memorie, i pregiudizi, ma anche gli innamoramenti potrebbero portarci fuori strada. Esistevano due strade per affrontare un tema così complicato: la prima, una sorta di mimesis e di trasposizione di forme e funzioni che, comunque, avessero le proprie radici nel dizionario di Venezia. Il secondo percorso, perseguito da tutti i progettisti, è stato quello di rigenerare, all’interno di questo legno particolare, di questa forma specifica, altre funzioni, altre destinazioni d’uso, certamente attraverso una negazione dialettica della sua destinazione originaria.
Come scrive Enzo Mari, a commento del suo progetto, quando si chiede che cosa fare: “utilizzare il legno
per realizzare un progetto decente, scartando ogni memoria della briccola, mucillaggini e cavità realizzate
da animali marini? Oppure, come poi ho deciso di fare, realizzare un’opera quale stendardo per la mostra: da una briccola non ripulita, fuoriescono tre tavole di quercia, semilavorate, in attesa di essere utilizzate”.
È una dichiarazione poetica sul significato di progetto, per evitare di dare una forma nuova ad una funzione e una forma preesistente, in attesa del progettista che verrà. Un altro architetto, da sempre sensibile a ciò che qualsiasi materiale possiede, potenzialmente, all’interno della sua configurazione strutturale, Mario Botta, commenta, presentando una serie di sedute, sgabelli, tavolini, che mantengono la circonferenza della struttura della briccola, “le briccole di Venezia hanno 100 vite; basta scavare oltre la corteccia per ritrovarne l’anima”. Sono solo alcuni esempi, ma direi che tutti gli architetti e designer hanno lavorato non attraverso l’imitazione, ma nel segno di un sapere indiziario: fare nascere la forma all’interno di una storia e una simbologia già codificata, senza comunque né nostalgia né una caduta nel kitch, fenomeno molto facile quando si ha a che fare con Venezia. I progettisti che hanno lavorato a questa Collezione sono Terry Dwan, Paola Navone, Missoni, Luisa Castiglioni, Antonio Citterio, Matteo Thun, Michele De Lucchi, Mario Botta, Riccardo Arbizzoni, Elio Fiorucci, Pininfarina, Franco Origoni e Matteo Origoni, Karim Rashid, Pierluigi Cerri, David Chipperfield, Erasmo Figini, Enzo Mari, Marc Sadler, Luca Scacchetti, Aldo Cibic, Helidon Xhixha, Carlo Colombo, Claudio Bellini, Thomas Herzog, Philippe Starck, Aldo Spinelli, Paolo Piva, Pinuccio Sciola, Davide Riva e Maurizio Riva.
Fa storia a sé l’opera di Pinuccio Sciola, per due ragioni. In primo luogo, è uno dei due scultori invitati al nostro progetto, poi perché è sempre stata la pietra il suo materiale di riferimento. In questo caso, Sciola dimostra che esistono forme e soprattutto “funzioni simboliche” che vanno al di là del materiale utilizzato: legno e pietra appartengono alla nostra tradizione e, a proposito di Venezia, fanno parte del paesaggio urbano. Da qui la centralità del pensiero rispetto al processo e al prodotto, e quindi al materiale: il progetto Briccole di Venezia non si ferma a questi risultati. Rappresenta la strategia di un’impresa che guarda in avanti, in un percorso aperto, senza pregiudizi. Da qui il significato filosofico dell’opera disegnata da Maurizio e Davide Riva.
La briccola è straordinaria nella sua tautologia di “essere briccola”; l’elemento base della collezione “Briccole
di Venezia” è uno sgabello: il tronco viene sezionato e levigato nelle due estremità, mentre la superficie verticale è stata volutamente mantenuta così come il mare l’ha modellata. L’altezza dello sgabello briccola è cm. 44, il diametro è variabile a seconda delle dimensioni dei pali disponibili, e ogni prodotto viene timbrato, a fuoco, con la scritta in dialetto veneziano “bricola Venezia”. Così Davide e Maurizio Riva inaugurano la collezione Briccole di Venezia; probabilmente è la base sulla quale è possibile interpretare e giudicare tutti gli altri progetti, proprio perché riduce al minimo le variabili estetiche ed interpretative. Tutto accade come se fosse un esercizio filosofico; la funzione estetica può diventare fattore di differenziazione sociale quando un determinato oggetto in un determinato ambiente sociale ha funzione estetica e in un altro non l’ha. Questa riflessione è tratta da una serie di approfondimenti di uno dei più grandi studiosi di estetica del novecento, Jan Mukarovsky, nel suo saggio del 1936, “La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali”: “ad esempio, l’albero di Natale che nelle città ha funzione prevalentemente estetica, ha nella Slovacchia orientale, dove è giunto come valore culturale discendente, un significato prima di tutto magico”. Riva 1920, con questo progetto, guarda ai prossimi 90 anni individuando nella memoria, da un lato, e nelle
forme dell’abitare del nostro presente, dall’altro lato, il seme del futuro. Guardare al passato, in questo caso Venezia, senza nostalgia, e individuare per il futuro prossimo soluzioni progettuali concrete, che non siano “anime belle” ma abbiano un’estetica riconoscibile e una funzione, chiara e indubitabile, è la filosofia di un’azienda che ha sempre creduto nella coerenza etica ed estetica di un design al servizio dell’uomo.

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